L’ipovisione e la cecità non sono la stessa cosa.
L’ipovisione può essere associata a malattie che provocano una riduzione del campo visivo e, nella forma grave, può portare a cecità parziale o totale.
Nell’articolo che segue spiegherò:
- cos’è l’ipovisione.
- La correlazione tra ipovisione e cecità.
- A chi può rivolgersi l’ipovedente.
Cos’è l’ipovisione?
L’ipovisione è una condizione di acutezza visiva molto limitata, che impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana, personale e professionale.
A casa, sul lavoro, a scuola interferisce sulle attività come la lettura, la scrittura, l’autonomia domestica ed altro.
Non può essere completamente corretta da occhiali, lenti a contatto, trattamento medico e/o chirurgico.
L’ipovisione interessa la popolazione di tutte le età.
Si inquadra nell’ambito delle minorazioni visive come forma intermedia tra le minorazioni poco significative, che non generano disabilità visiva, e le minorazioni gravissime che riducono la capacità visiva ad un livello di cecità relativa o assoluta.
Essere ipovedenti non significa non vedere.
Tuttavia una funzione visiva bilaterale compromessa interferisce pesantemente sull’autonomiadell’individuo e sulla sua qualità di vita.
Pur conservando una residua acuità visiva, il danno funzionale permanente causa una serie di difficoltà in compiti e attività anche semplici, come leggere un libro e lavorare al computer.
Le cause di cecità
La cecità può essere causata da vari fattori (siano essi congeniti o acquisiti).
La vista si può ridurre fortemente in seguito a patologie che possono colpire diverse strutture oculari, che vanno dalla cornea, alla retina e al nervo ottico.
L’ipovisione può essere associata a malattie che provocano una riduzione del campo visivo.
Ad esempio, nel caso del glaucoma avanzato, che danneggia il nervo ottico, è come se si guardasse attraverso un tubo.
Oppure si può essere colpiti da patologie della macula, la zona centrale della retina (la più comune è la degenerazione maculare senile, che provoca la perdita della visione centrale).
L’ipovisione grave può portare a cecità, che può essere distinta in parziale o totale.
Ipovisione e cecità
L’ipovisione e la cecità non sono la stessa cosa.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un soggetto è cieco quando l’acuità visiva corretta nell’occhio migliore è inferiore a 1/20, mentre è ipovedente quando essa è compresa tra 3/10 e 1/20.
Tale distinzione risale a circa vent’anni fa.
Più nello specifico sono state definite cinque categorie (International Classification of Diseases – 9th revision):
La prima e la seconda riguardano l’ipovedente:
- 1° cat. = visus 3/10-1/10;
- 2° cat. = visus 1/10-1/20.
Le altre tre categorie riguardano, invece, il soggetto cieco:
- 3° cat. = visus 1/20-1/100 ;
- 4° cat. = visus 1/100-P.L. ;
- 5° cat. = visus spento.
In Italia il concetto legale di cecità – ipovisione è stato ridefinito con la Legge 3 aprile 2001, n. 138 (“Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”).
Essa stabilisce che, per la valutazione del danno bisogna considerare sia la visione centrale che quella periferica (il campo visivo).
L’ipovisione comprende una componente centrale che deriva dalla riduzione dell’acutezza visivaed una componente periferica che è espressione del danno del campo visivo.
L’ipovisione rappresenta una realtà che coinvolge quotidianamente sempre nuovi individui dato che è in costante aumento il numero di soggetti con minorazioni visive.
Le possibili cause dell’incremento dei casi di ipovisione
Tra le possibili cause dell’incremento del numero di soggetti con minorazioni visive due sembrano essere le principali.
- L’aumento dell’età media della popolazione: questa comporta un incremento delle invalidanti malattie legate all’età (come maculopatia senile, glaucoma, cataratta, ecc.).
- L’affinamento delle tecniche diagnostiche e terapeutiche (soprattutto chirurgiche) che permettono di trattare più precocemente ma soprattutto con maggiore efficacia gravi lesioni oculari, che non evolvono più in cecità ma in menomazioni visive irreversibili.
Per esempio la retinopatia del prematuro, la retinopatia diabetica ed il distacco di retina con proliferazione vitreo-retinica.
Il livello qualitativo della visione della persona ipovedente è in grado di condizionare la sua vita di relazione, l’attività lavorativa, la mobilità e l’orientamento spaziale in maniera differente a seconda del tipo di minorazione visiva.
Il grado di handicap (condizionamento) varia pertanto da caso a caso, in quanto dipende dall’età del soggetto, dal contesto personale, familiare, sociale, professionale e dal livello culturale del soggetto stesso.
A chi può rivolgersi un ipovedente?
L’ipovedente non è cieco.
Presenta una potenzialità visiva residua che va allenata e ottimizzata attraverso la riabilitazione, per ridurre gli effetti quotidiani della patologia e recuperare una certa qualità di vita.
La riabilitazione è rivolta a tutti, sia bambini che adulti, e va personalizzata attraverso un’attenta valutazione ortottica.
L’Ortottista è la figura professionale di riferimento per affrontare questa condizione di deficit e imparare a sfruttare al meglio quella parte di retina ancora sana, sviluppando e stabilizzando un nuovo punto di fissazione e rieducando la coordinazione oculo-manuale e del corpo.